Tre presunti covi individuati, un altro immobile sequestrato, quattro persone indagate, di cui una in carcere. E’ questo il bilancio delle attività condotte dalle forze dall’ordine negli ultimi 4 giorni, a seguito dell’arresto del superlatitante castelvetranese Matteo Messina Denaro, avvenuto lunedì scorso in mattinata presso la clinica La Maddalena di Palermo. Un lavoro imponente, e ancora agli inizi, scattato subito dopo l’arresto dell’ex primula rossa e che per ora si è pesantemente concentrato sul territorio di Campobello di Mazara, dove operano carabinieri, polizia e guardia di finanza sotto il coordinamento della procura di Palermo. Ieri è stato individuato il terzo presunto covo dove Matteo Messina Denaro, è l’ipotesi degli inquirenti, può ave trascorso parte della sua trentennale latitanza. Si tratta di un locale disabitato in via San Giovanni, dove il boss avrebbe soggiornato per un determinato periodo di tempo fino a qualche mese addietro. A scoprire il terzo presunto covo è stata la polizia e anche lì sono tuttora in corso i rilievi tecnici e scientifici alla ricerca di elementi utili alle indagini. I carabinieri e la guardia di finanza hanno, invece, concluso le attività nel secondo presunto covo di Messina Denaro individuato in via Maggiore Toselli. Qui, militari dell’arma e fiamme gialle hanno raccolto vari elementi che ovviamente sono al vaglio della scientifica. La presunta stanza segreta trovata in questo immobile resta comunque sotto sequestro. Sono tuttora in corso le attività nel primo covo individuato dai carabinieri in via Cb 31 (San Vito), un appartamento dove Messina Denaro avrebbe vissuto negli ultimi mesi fino al giorno del suo arresto di 4 giorni addietro. Sempre sul fronte delle indagini, da quanto risulta sono sempre 4 gli indagati per aver, in qualche modo, favorito la latitanza di Messina Denaro: l’autista Giovanni Luppino, attualmente in carcere, che però agli inquirenti avrebbe riferito di non sapere che l’uomo che ha accompagnato lunedì scorso alla Maddalena fosse il boss più ricercato d’Italia; il geometra Andrea Bonafede, la cui identità ha utilizzato Messina Denaro; i medici Alfonso Tumbarello e Filippo Zerilli. Indagini a pieno ritmo, insomma, per ricostruire la latitanza del boss, i suoi contatti, la rete di fiancheggiatori e protezione, ma anche per risalire, se possibile, all’archivio segreto di Totò Riina.